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Qualche settimana fa ho avuto la possibilità di fare una bella chiacchierata con un collega di cui ho stima e che mi sta anche tendenzialmente simpatico.
In questa chiacchierata si è parlato di cosa vuol dire lasciare il posto della vita, quello nella multinazionale solida e figa, e mettersi in proprio.

Ho avuto occasione di ripensare a cosa mi ha spaventato di più quando nel 2020 ho fatto io quella scelta: cosa avevo più paura di perdere?

Mentre chiacchieravo e mangiavo un toast in piedi, ho capito che la cosa che ho fatto più fatica a mollare è stato lo status sociale.

La carta aziendale, i viaggi in prima classe, il job title roboante.

È stato quello il mio cerotto da strappare, più che il rischio dell’avventura imprenditoriale, l’incertezza, l’investimento.

È stato perdere il riconoscimento di essere vista “arrivata” nel mio contesto professionale.

La verità, ripensandoci dopo quattro anni, è che alla fine non mi serve sentirmi arrivata da nessuna parte.

Quello che mi serve è poter esprimere quello che penso e costruire quello che immagino.

Per poterlo fare valeva la pena tagliare a metà la carta di credito aziendale.

Per questo e per poter spegnere il computer e farmi un giro al mare quando non ho call.