Ognuno corre verso il suo oro. Ognuno ha il suo, speciale, unico. Mentre ero in California ho pensato che tutti siamo in cerca di quel mezzo che ci porterà verso nuovi scenari possibili in cui saremo migliori, più luccicanti.
Io il mio oro l’ho cercato a Palo Alto, abbracciata all’Osborne 1 uguale a quello che ho nel soppalco sopra il bagno a casa dei miei.
È il computer con cui mio papà ha imparato a programmare da solo. Per lui il mezzo era quello: pesava 19 kg e costava 6 mesi di stipendio.
Era uno scalino su cui alzarsi più su, allungarsi ancora un po’ per riuscire a toccare con la punta delle dita quell’oro vicinissimo. E ci si allunga un centimetro alla volta, finché finalmente non si arriva a stringere la presa.
È un viaggio che ti mastica, che segna la faccia con le rughe, ma soprattutto è un viaggio che trasforma.
Da tecnico radio-tv a programmatore, da barista a chef stellato, da diplomata in ragioneria a risk manager.
Ognuno ha il suo oro e la sua trasformazione.
Ho pensato, mentre provavo a tirare su l’Osborne al Computer History Museum, che una cosa ci accomuna tutti: la voglia di cercare.

